Sergio Cerruti, a capo della Associazione fonografici italiani, denuncia il mancato invito dei rappresentanti della filiera agli Stati generali dell’economia: «Dopo l’uscita di Conte sugli “artisti che mi fanno divertire”, questa è l’ennesima prova di una totale mancanza di sensibilità verso il settore». Che solo nei live ha perso 350 milioni di euro
Agli Stati Generali dell’Economia, nel giorno dedicato ad arte e cultura, non erano nella lista degli invitati. Eppure per il mondo della musica, la fase due non è mai cominciata. Festival e concerti saranno gli ultimi a ripartire dopo lo stop imposto dal lockdown. E alle porte si preannuncia un’estate senza palchi. «Nessuno ci ha chiamati», dice Sergio Cerruti, presidente della storica Associazione fonografici italiani, che raduna 121 produttori discografici indipendenti. «A Villa Pamphilj la musica non esiste. Così facendo hanno tradito i padri fondatori che hanno esportato il made in Italy in tutto il mondo».
Nella quinta giornata degli Stati Generali c’erano i rappresentanti del cinema, dello spettacolo, del mondo dell’editoria e del turismo. Ma non i discografici. «Anche se me l’avessero detto la sera prima, mi sarei precipitato a Roma per cogliere l’occasione di rappresentare il nostro settore», dice Cerruti, che è anche vicepresidente di Confindustria Cultura. Ma l’invito, nonostante un messaggio last minute inviato al governo dagli industriali, non è arrivato. «Dopo l’uscita di Conte sugli “artisti che mi fanno divertire”, questa è l’ennesima prova di una totale mancanza di sensibilità verso il settore. Anche noi siamo arte, anche l’intrattenimento è turismo. A questo punto gli dico: “Chiudete La Scala”. Se non esistiamo, è inutile che poi venite a fare la parata alla prima».
La data di riapertura delle discoteche e sale da ballo è slittata al 14 luglio, ma alcune regioni l’hanno anticipata. Purché si ascolti solo la musica, ma senza ballare. I protocolli governativi prevedono che gli spettacoli all’aperto potranno svolgersi con 1.000 persone al massimo, quelli al chiuso con 200. Ma Assomusica ha già depennato tutti i grandi live: difficile reggere i costi fissi di grandi spazi con il pubblico dimezzato. Le date dei festival vengono cancellate di ora in ora. E seppure c’è qualche nome coraggioso che si è spinto ad annunciare le prime date in formato ridotto (vedi Dente, ad esempio), tanti piccoli promoter stanno rinunciando.
«La ripartenza sta avvenendo a macchia di leopardo e non in maniera unitaria. C’è un sentiment negativo», dice Cerruti. «Parlare di un protocollo sarebbe auspicabile. Il problema è che ogni regione fa a modo suo, vengono applicati in maniera isterica. Una incertezza che si riflette sulle scelte di consumo. Come fai a dare 500 euro per andare al mare se poi i locali sono tutti chiusi?».
Secondo le stime di Assomusica, alla fine dell’estate le perdite ammonteranno a circa 350 milioni di euro per il solo settore del live. A questa cifra vanno aggiunte anche le perdite legate all’indotto, circa 600 milioni di euro. Oltre al buco creato dal mancato versamento dei diritti d’autore, non solo per i concerti annullati, ma anche per la chiusura di negozi, centri commerciali e palestre che oltre ad abbassare le saracinesche hanno spento anche le radio. E a rischio ci sono oltre 60mila lavoratori solo per i concerti dal vivo.
Le uscite di nuovi album, senza i tour e con le radio in crisi a corto delle inserzione pubblicitarie, in molti casi sono state fermate. Gli studi di registrazione si sono svuotati e faticano a restare aperti. Le vendite di cd e vinili sono calate del 70%. E il digitale, da solo, non è stato in grado di compensare la curva in discesa. Mentre i bar e i lidi che riaprono chiedono l’abolizione, o almeno uno sconto, sui pagamenti dei diritti d’autore per la musica che trasmettono.
Davanti a questo panorama grigio, «non possiamo che registrare la totale mancanza di sostegni e incentivi all’industria discografica», dice Cerruti. «Ma anche la mancanza di conoscenza del settore. Gli indicatori che hanno usato per registrare i cali di fatturato per il nostro settore non valgono. Tutti i soldi che incassiamo ora sono i soldi di esecuzione del 2019. Il buco dei mancati incassi lo avremo nel 2021».
Su richiesta del ministero della Cultura, ad aprile tutta la filiera della musica, dai produttori agli organizzatori, ha presentato un documento programmatico con dieci proposte. «Ma nel decreto rilancio non abbiamo trovato nulla», dice Cerruti. In fase di conversione di legge, ora dovrebbe essere approvato un emendamento che specifica che anche i produttori musicali possono accedere ai contributi a fondo perduto. «Ma l’assenza della specificazione nel testo del decreto fa pendant con la mancanza della musica a Villa Pamphilj», dice Cerruti.
Dal Mibact dovrebbe arrivare anche un finanziamento per la categoria, ma le cifre che circolano non sembrano sufficienti. Tra le richieste del settore c’era l’estensione del bonus cultura a una platea più ampia, semplificazioni burocratiche (come l’abolizione del bollino Siae sui dischi) e modifiche al regime dell’Iva. «Se ascolti Verdi, è al 4%», dice Cerruti. «Se ascolti Ghali è al 22%. Una follia».
«Ci serve una iniezione di liquidità domani mattina, non fra tre mesi», spiega Cerruti. «Succede ancora che andiamo agli sportelli delle banche e non si trovano i moduli per i prestiti del decreto liquidità. In questa crisi i tempi sono importantissimi. Molte aziende sono già fallite, e tante altre falliranno».
Il 21 giugno Afi sovvenzionerà come ogni anno la Festa della Musica in 300 città italiane, che avrà il suo culmine in un concerto di Paolo Fresu dalla Valle dei Templi di Agrigento. «La trasmetteranno in diretta su Rai 5. Potevano darci anche Rai Tre».